domenica 1 dicembre 2013

Sara è una donna dinamica, ama viaggiare, leggere, lavorare, fare mille cose insieme. Di giorno fa l'insegnante. Lavora in una scuola elementare. Adora il suo mestiere, ma a lei non piace avere un solo volto. Così, di notte, si trasforma in lucciola e vaga per le strade della città in cerca di guai. Tutto è iniziato una sera di depressione. Si era lasciata con Carlo, l'uomo con cui stava da una vita. Si era trovata un'altra molto più giovane di lei, più attraente e con meno ambizioni familiari. Edo, il suo amico gay, era andato a trovarla per consolarla: "Non sei mica una brutta donna tu! Sei solo trascurata! Facciamo una cosa: ti trucco, ti scelgo il vestito, e usciamo insieme. Facciamo a gara di chi acchiappa di più. Voglio che con uno sguardo catturi l'uomo che tu vuoi sia tuo. Tutto in una sera".

Sì, sono Sara. Ho 37 anni e quella sera ero proprio distrutta. Sentivo che quel bastardo mi aveva lasciata perché ormai stufo di me, dei nostri anni insieme e del mio corpo. E' inutile nascondere che gli uomini ci amano anche per il corpo che abbiamo. Noi stesse ci amiamo anche per questo. Due seni duri da stringere sotto le mani o da accarezzare mentre fai la doccia non sono la stessa cosa di due insignificanti capezzoli che stanno lì perché altrove non potevano stare. Due fianchi formosi, da mostrare sotto un vestito aderente, non sono come un sedere piatto nascosto non si sa dove. Ma io avevo tutto: avevo due seni floridi, due fianchi da far girar la testa. Mi ero trascurata nell'ultimo periodo. Mi ero lasciata andare e forse lui l'aveva notato e non appena gli era passata sotto il naso una più giovane, ZAC, scappato. Certo, lui era un uomo che non mi meritava più e forse non mi aveva mai meritato, ma io volevo dimostrare agli altri che anche io avevo un corpo, al quale ci si poteva dissetare di freschezza e goduria. La mia mente avevo già mostrato di averla. Sempre inquadrata, un curriculum di tutto rispetto, un lavoro da intellettuale e una pazienza di Giobbe. Lavorare con i bambini non è facile, e io sono una maestra seria e adorabile nello stesso tempo: non è da tutti. Ma i bambini ti guardano un po' come un orco, un po' come una madre, e anche lì, in classe, ogni giorno è come dimenticare la potenza esaltante della femminilità; non quella materna, ma quella sensuale, proprio quella che ai bambini andava giustamente nascosta. Allora giù di pullover a collo alto, scarpe a nonna papera, gonne al ginocchio, trucco quasi inesistente, gioielli non vistosi, ecc.
Dovevo riscoprirmi e quel giorno quel santo di Edo mi diede finalmente quel calcio che ci voleva per farmi riscoprire.
Mi prese per mano e mi accompagnò in bagno. Non pensate male. Eravamo amici e io lo lasciai fare. Mi sciolse i capelli, che avevo raccolti in una cipolla vecchio stile. Ne uscì una chioma voluminosa di fili dorati tendenti al rosso. Ero davanti allo specchio e rimasi esterrefatta del mio viso, lì, incorniciato da quei capelli così morbidi. Prese un rossetto rosso e mi colorò le labbra. Mi sbottonò la gonna e la fece cadere per terra. Ne uscirono due gambe sode, ancora desiderose di essere accarezzate, coperte da calze autoreggenti di un color carne che poco davano giustizia a quelle due colonne. Prese uno sgabello, mi fece sedere, sempre davanti allo specchio. Lui alle mie spalle, mi cinse per un attimo il collo, mi tolse il foulard a costine che lo riscaldava e un brivido mi prese dentro. Sapevo che sarebbe andato avanti. Con un po' di stupore verso me stessa non dissi niente. Mi prese un nodo alla gola e lo lasciai continuare, mentre qualcosa mi esplodeva dentro. Iniziò a sbottonarmi la camicetta. Dal primo all'ultimo bottone, dall'alto verso il basso. La camicia dalla fantasia fiorata scivolò per terra accarezzandomi le spalle come in un gesto di saluto. Sapevo che sarebbe toccato a lui:
me lo dischiuse piano piano, come se fosse la porta di un tesoro. E i miei seni erano lì, dentro, che non aspettavano altro che essere liberati, come tutta me stessa. Il reggiseno mi si scrollò di dosso in maniera un po' impacciata, ma decisa, e vidi davanti allo specchio due fiori. I miei capezzoli erano turgidi, nuovi freschi, accerchiati da un rosa stupendo. Edo prese a sfiorarmeli con le dita, mentre mi baciava il collo. Sentii dentro di me una voglia che dalle gambe mi prendeva la testa e cadei svenuta. Sì, quel giorno finì così.